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Intervista a Toine Overgaag – Westerlay Orchids

Toine Overgaag, proprietario di Westerlay Orchids, è originario di ‘s Gravenzande, Paesi Bassi, dove suo nonno coltivava pomodori. Nel 1978, il padre emigrò con la moglie e i quattro figli piccoli a Carpinteria, negli Stati Uniti. Joop, il padre di Toine, costruì da solo gran parte della prima serra e fondò la società Westerlay Roses, che prende il nome dall’asta di Westerlee. Dal 2009 Toine ha assunto il comando dell’azienda che da allora ha raddoppiato le sue dimensioni, opera su 7,5 ettari e produce oltre 3.200.000 orchidee all’anno. Intervistiamo Toine, che parla con passione ed entusiasmo della sua azienda.
 

Com’è nata Westerlay Orchids?
Dopo gli studi di economia aziendale ho lavorato come consulente, perché non ero molto interessato alle rose. L’azienda poteva contare su una posizione favorevole e solida sul mercato americano e la domanda di rose era tale che mio padre per un periodo non era in grado di accettare nuovi clienti. Negli anni ’90 è aumentata la concorrenza dall’Ecuador e dalla Colombia, che ha messo sotto pressione il mercato. Perciò sono entrato in azienda e insieme a mio padre abbiamo deciso di cambiare rotta. Dopo una ricerca di mercato approfondita, abbiamo elaborato un piano per passare in cinque anni dalla produzione di rose alle orchidee. Nel 2003 abbiamo consegnato le nostre prime orchidee, Cymbidium: la Westerlay Roses è diventata Westerlay Orchids. La mossa si è dimostrata vincente e la domanda alta e stabile, il che ci ha consentito di attuare una crescita impressionante nel corso degli anni. Così ho rilevato l’azienda da mio padre e ora le orchidee Westerlay sono interamente di mia proprietà.


Qual è la struttura attuale dell’azienda?
Abbiamo tre sedi, di cui una in affitto e due di proprietà dei miei genitori. Sono estremamente ambizioso di natura e vorrei mettere in atto un’espansione di 7 ettari, ovvero quasi il doppio della superficie attuale. Si tratterà di un vivaio moderno, dove forse verranno coltivati anche prodotti diversi dall’offerta corrente, ma ancora non è un progetto concreto. Con una sede nuova, la struttura in locazione verrebbe eliminata. Al momento ci occupiamo principalmente della coltivazione di Phalaenopsis.

Qual è la differenza con i Paesi Bassi in termini di produzione e di vendite?
La differenza maggiore con i Paesi Bassi è che vendiamo poco a vivai e a rivenditori al dettaglio. I clienti principali sono supermercati e negozi di bricolage. Anche i supermercati si distinguono per quanto riguarda dimensioni e assortimento e operano in segmenti diversi.

Come avviene la distribuzione?
L’azienda ha sede in California, negli Stati Uniti occidentali. L’America può essere suddivisa approssimativamente in est e ovest. Noi riforniamo solo l’ovest, perché l’est è troppo lontano e il trasporto sarebbe costoso e richiederebbe un tempo eccessivo. Consegniamo fino in Colorado, a Seattle, a volte in Canada, così come a Denver e Salt Lake, luoghi che un camion raggiunge in un paio di giorni.

I coltivatori della nostra regione hanno aziende molto distanti tra loro, perciò forniamo prodotti diversi in modo da riempire il mezzo. Se proponi prezzi troppo alti o hai una disponibilità ridotta, i clienti si rivolgono altrove. Sul breve termine, è un aspetto che può creare problemi, ma a lungo andare si rivela una situazione migliore che nei Paesi Bassi, poiché ogni coltivatore di orchidee offre un prodotto diverso. Westerlay Orchids coltiva in vasi da 6, 9 e 12 cm con un grande valore aggiunto (i formati europei), mentre altre aziende in California adottano i pollici o usano formati taiwanesi.

Nel primo trimestre del 2020, anche l’America ha dovuto affrontare il COVID-19 e la California è stato uno degli Stati più colpiti. La situazione è ancora molto preoccupante.

Come si è sviluppata la situazione quando il COVID-19 ha raggiunto il vostro Stato e i contagi sono aumentati, dando luogo al lockdown?
Carpinteria è stata colpita, ma non in maniera così ingente come Los Angeles. Abbiamo potuto continuare a lavorare sena alcuna interruzione. Naturalmente, abbiamo osservato sin dall’inizio la distanza di sicurezza di 1,5 metri, ci laviamo e disinfettiamo le mani frequentemente e indossiamo mascherine.

Per favorire la continuità, abbiamo diviso i dipendenti in due gruppi, verde e arancione. I gruppi hanno orari di pranzo e pause diversi, utilizzano i servizi igienici contrassegnati con il verde o l’arancione e mantengono le distanze durante il lavoro. Se qualcuno è positivo, rimane a casa l’intero team, che potrà tornare a lavoro solo dopo che il test risulterà negativo. L’altro team garantisce la continuità durante tutto il periodo. Fortunatamente, una situazione simile si è verificata solo un paio di volte.

Quali sono stati i problemi e le sfide più grandi che avete dovuto affrontare?
Poco dopo che sono stati riscontrati casi di COVID-19 negli Stati Uniti, nel Paese è scoppiato il panico. Ciò non ci ha sorpreso, perché il virus si è diffuso molto rapidamente, con conseguenze disastrose. Questo è avvenuto nella primavera del 2020, quando la maggior parte dei clienti principali ha effettuato appena il 20% degli ordini consueti.

La situazione ha creato grande incertezza: cosa fare? Non agire avrebbe significato dover gettar via tutte le piante, ed era quello che non volevo. Sarebbe stato uno spreco di materiale, ma soprattutto volevo trovare una soluzione per fare in modo che il personale continuasse a lavorare. Desideravo inoltre rendere felici le persone che erano state particolarmente colpite dalla pandemia. La situazione era già abbastanza difficile.

Come ci siete riusciti?
Ho cominciato a chiamare gli istituti di cura della zona, per donare loro delle piante, ma il piano non era fattibile a livello logistico. Inoltre, al tempo non sapevamo quasi nulla del virus: la gente aveva paura che, per esempio, il Coronavirus si trasmettesse alle persone ricoverate attraverso le confezioni delle piante. Perciò, per il momento ho dovuto abbandonare l’idea, ma desideravo tanto creare un legame tra le persone con un prodotto che portasse allegria e che esprimesse la mia stima per chi era in prima linea nella lotta contro la pandemia.

Ci sono volute due o tre settimane prima che il progetto iniziasse a funzionare, a fiorire, per così dire, e riuscissi a donare migliaia di piante a vari ospedali grandi di Los Angeles

Per trarre qualcosa di positivo anche dalla crisi, avete lanciato la sfida delle 100.000 orchidee. Puoi spiegarci di cosa si è trattato?
Con la donazione delle prime piante è nata l’idea della sfida delle 100.000 orchidee.
Sono molte le persone coinvolte direttamente e indirettamente nella lotta contro la pandemia, e ho voluto dar loro coraggio. Perciò ho ideato la sfida delle 100.000 orchidee per ispirare le comunità della California a inviare piante agli operatori in prima linea e alle persone isolate dalla quarantena. È stato anche un test per vedere se riuscivamo a raggiungere i 100.000 esemplari.

Nelle settimane successive alle consegne a Los Angeles, camion pieni di orchidee hanno lasciato la serra per raggiungere ospedali e organizzazioni no profit in tutta la California e negli Stati vicini. Nei mesi di giugno, luglio e agosto non si è mosso quasi nulla, perché non avevamo piante disponibili, ma in settembre abbiamo raggiunto la soglia dei 100.000 esemplari con la consegna a una casa di riposo. Ne sono molto orgoglioso.

Inoltre, tramite il nostro sito Web si poteva e si può ancora ordinare una scatola di orchidee da consegnare a infermieri, medici o altro personale ospedaliero in California.

Di cosa siete più orgogliosi nell’ultimo anno?
Naturalmente, sono molto orgoglioso del personale. I nostri dipendenti sono estremamente responsabili e coinvolti, e danno il meglio. Se un familiare di un dipendente contrae il Coronavirus, è bene che rimanga a casa. Con i soldi che abbiamo ricevuto dal governo per sostenere l’azienda in queste circostanze, paghiamo il personale costretto a rimanere a casa.

Come vedi il futuro di Westerlay Orchids?
Oltre a un’espansione e una crescita potenziali, voglio continuare a dedicarmi agli altri. I valori fondamentali di Westerlay Orchids sono la responsabilità, l’orgoglio, il sostegno e il miglioramento, sia nella gestione dell’impresa sia verso l’ambiente locale. La sfida è stato un modo di assumerci le nostre responsabilità e dimostrare, donando una pianta, la nostra stima per le persone che in qualche modo sono state colpite dal Covid-19.

Allo stesso modo, in settembre abbiamo devoluto l’intero ricavato settimanale del negozio a una scuola locale, per un importo che ammontava a 25.000 USD e abbiamo donato parte del ricavato di ogni pianta rosa venduta in ottobre a Pink Ribbon, il fondo per il cancro al seno.

Come vivi la collaborazione con Anthura?
Westerlay Orchids desidera dimostrarsi affidabile in qualità di fornitore e perciò ha a sua volta bisogno di un fornitore affidabile. Anthura lo è. Affidabile per quanto riguarda la qualità e la disponibilità dei prodotti, che per noi è l’aspetto più importante. Inoltre, la collaborazione con Joost (Hendriks) funziona bene e siamo trattati come un cliente importante, come un partner a lungo termine. Ciò ha per noi un valore inestimabile. Ci auguriamo che in futuro potremo continuare a cooperare allo stesso modo.